I CENTO BOTTONI

I CENTO BOTTONI

C’era una volta un bambino di nome Pal che viveva, da solo, in un piccolo villaggio di provincia ai confini di un’estesa catena montuosa.
Il piccolo non aveva mai conosciuto i suoi genitori che lo avevano lasciato subito dopo la nascita davanti alla bottega del fabbro del paese.
Pal conservava di loro soltanto un medaglione e la vecchia giacca stracolma di strani bottoni nella quale era stato avvolto il giorno in cui essi lo avevano lasciato. Il suo nome gli era stato dato dagli abitanti del villaggio che in quegli anni lo avevano tirato su, con affetto e grande cura.
Il bambino, che aveva un viso tondo e paffutello che ispirava immediatamente simpatia, era in realtà un bimbo triste e pensieroso. Passava tutto il suo tempo a disbrigare piccole faccende per gli abitanti del villaggio, che poi lo ricompensavano con piccole mance, cosa che gli permetteva di condurre un’esistenza abbastanza dignitosa.
Un giorno arrivò in paese un vecchio signore, aveva la barba lunga e rossiccia, era molto alto e sembrava essere sempre corrucciato e di cattivo umore. L’uomo aveva deciso di stabilirsi per un po’ di tempo in paese e aveva preso in affitto una stanza nell’unica locanda del villaggio. Il vecchio passava il suo tempo seduto ai piedi della grande montagna bisbigliando parole a bassa voce e bevendo ogni tanto qualcosa da una vecchia bisaccia che portava sempre con sé.
Pal rimase molto incuriosito da quel vecchio signore e per questa ragione andò spesso a sedersi nei pressi di una siepe, poco distante da lui, osservandolo e cercando di capire cosa mai stesse facendo.
Un giorno Pal, stanco di passare inutilmente il suo tempo ad osservare il vecchio signore, gli si avvicinò e gli disse: «Signore, perché passa il suo tempo seduto ai piedi della montagna?».
«E tu ragazzo perché passi il tuo tempo a spiarmi da dietro la siepe?», rispose il vecchio con aria imbronciata.
«Non lo so», rispose sorpreso il bimbo, «forse perché anch’io ho sempre desiderato parlare con la vecchia montagna».
«Puoi farlo allora», rispose sorridendo il vecchio, «qui c’è posto anche per te».
Da quel giorno i due passarono molto tempo a guardare la vecchia montagna e a bisbigliare qualcosa rivolgendo lo sguardo verso la sua cima. Naturalmente si tenevano a debita distanza l’uno dall’altro anche se all’ora del tramonto tornavano lentamente insieme verso il paese.
Gli abitanti del villaggio però non vedevano di buon occhio questa amicizia tra i due e, ben presto, iniziarono a guardare con diffidenza e rancore il vecchio signore, convinti com’erano che egli stesse esercitando una cattiva influenza sul piccolo Pal. Fino a che un giorno, accecati dal risentimento e dal sospetto, essi decisero di dare una lezione a quello strano e misterioso signore. Aspettarono i due al ritorno dalla montagna e cercarono di bastonare il vecchio Olaf, questo infatti era il suo nome. Olaf riuscì a sfuggire a stento ai suoi inseguitori ma decise che il giorno dopo, sarebbe andato via da quel paese e avrebbe ripreso il suo girovagare intorno al mondo.
Appena venne buio Olaf decise di andare a salutare il piccolo Pal che viveva da solo in un casolare lì vicino. I due sedettero vicino al camino guardandosi negli occhi in silenzio, poi ad un certo punto il piccolo disse: «Cerca di perdonarli, non sono cattivi, lo fanno perché mi vogliono bene e pensano di proteggermi».
«Lo so, lo so», rispose Olaf, «non è la prima volta che mi imbatto in persone diffidenti, domani però andrò via; ho una missione importante da terminare; però, prima di salutarci, visto che hai dimostrato di essere un bambino che sa ascoltare voglio raccontarti una storia: “Ho avuto una vita difficile, per molti anni sono stato un bandito, non ho mai ucciso nessuno ma ho compiuto molti furti e rapine. Così spesso sono stato costretto ad abbandonare precipitosamente i luoghi nei quali cercavo di nascondermi. Durante una di queste fughe, ferito ad una gamba rimasi svenuto in mezzo ad una bufera di neve. Mi risvegliai, il giorno dopo, in una misera casa calda anche se un po’ in disordine. Il padrone, un vecchio mandriano, mi disse che viveva da solo, da quando sua moglie si era ammalata ed era partita per i campi del signore. Mi raccontò di un uomo ricco che, da giovane, aveva avuto dalla moglie un figlio. Egli era stato però costretto da una serie di vicissitudini ad abbandonare il piccolo, avvolto in una giacca dai bottoni d’oro, davanti alla bottega di un fabbro di un piccolo villaggio, del quale non ricordava più neanche il nome. Più volte aveva cercato di rintracciare il piccolo ma non era mai riuscito a trovarlo. Il suo cruccio maggiore era che, forse, il bambino non aveva potuto sfruttare il tesoro che lui gli aveva lasciato e questo pensiero gli rendeva la vita impossibile.»
Mentre parlava, sul viso di Pal era apparsa una lacrima, poi un’altra ancora e infine era corso via dalla stanza ed era tornato, poco dopo, stringendo tra le mani una vecchia giacca con degli strani bottoni. «La giacca!», gridò il vecchio, «Vieni qui, piccolo mio».
I due si strinsero in un caldo e lungo abbraccio e il giorno dopo il piccolo corse a dare la bella notizia a tutti i suoi amici abitanti del villaggio.

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