L’ARCOBALENO DEI BARBONI

L’ARCOBALENO DEI BARBONI

Il giorno in cui prese coscienza di quello che era stata la sua vita, fu un giorno molto difficile per lui. Tornando indietro con la memoria, capì che i suoi anni si erano trascinati via in un continuo stato di vuoto interiore. Era stato troppo impegnato a lottare, quotidianamente, contro una serie di ostacoli che si erano formati come onde nel mare, di continuo, davanti ai suoi occhi. E lui, d’altra parte, come avrebbe potuto non reagire lasciandosi così travolgere da esse?
Sissignore aveva lottato! Con tutte le sue forze, con tutta la rabbia che aveva in corpo aveva cercato di distruggere quei mostri che cercavano di annientarlo.
Così facendo però, aveva dimenticato di occuparsi di ciò che lo circondava, di tutte quelle piccole o grandi cose che danno un minimo di dignità e valore alle vuote esistenze di quegli strani esseri chiamati uomini.
Così quel giorno il signor Otto, che ormai da molti mesi viveva, insieme ad altri barboni, sotto le arcate di un vecchio ponte in una zona periferica della città, si interrogava per la prima volta sul significato reale della sua vita.
Cosa mai lo avesse spinto a far ciò, restò per sempre avvolto nel mistero, ma egli, da quel giorno, iniziò a passare in rassegna in modo sistematico e implacabile, ogni attimo trascorso della sua vita terrena.
Gli altri barboni, non si accorsero minimamente, di quanto stava accadendo nella vita di Otto, fino a che, un giorno, non lo videro alzarsi e dirigersi con una strana andatura verso l’argine del fiume. La sua figura appariva finalmente libera dal peso che per anni aveva dovuto sopportare, il peso della solitudine, della sconfitta, dell’abbandono, dell’emarginazione.
Quante volte il povero Otto era stato ingannato da persone che gli si erano presentate in vesti amichevoli; quante volte era stato umiliato, offeso, deriso dai piccoli potenti di turno; quante volte era stato abbandonato ai rigori del vento gelido della notte. Tutte queste ingiustizie sembrava si fossero riunite e coalizzate contro di lui e, tutte insieme, sembrava avessero costruito una sorta di ragnatela che lo aveva tenuto prigioniero per molti, troppi anni.
Quel giorno però Otto si sentiva finalmente libero: libero dal ricordo della moglie, che lo aveva spremuto e umiliato; libero dai sorrisi vili e ipocriti dei servitori sciocchi dei potenti che per lungo tempo si erano presi gioco di lui.
C’era qualcosa di nuovo nella sua vita.
Era come se, per la prima volta, tutte le cose belle, tutte quelle cose che egli aveva sempre sognato, si fossero riunite intorno a lui. I suoi veri colori, i colori propri della sua vita interiore, si mostravano ora a lui in tutto il loro splendore. Com’era bello tutto ciò. Com’era stata vuota e inutile tutta la sua esistenza.
Fu questione di un attimo e i suoi amici poterono assistere a un’incredibile trasformazione. Essi videro quel sacco vuoto riempirsi di luce, quel corpo sporco e pesante, librarsi nell’aria; quell’essere perennemente triste, illuminarsi di felicità.
Otto era lontano, svolazzava felice al di sopra della dura crosta del mondo. Il suo corpo era lì, immobile e pesante, ma egli non albergava più in esso.
Quante cose vide a partire da quel momento. Fiori dai mille colori, luoghi baciati dallo splendore della natura, alberi millenari e foreste sterminate, uccelli dalle splendide ali, tramonti infuocati e angoli di cielo inondati dalla luce delle stelle. Era un viaggio esaltante, quello che Otto stava compiendo. Un viaggio attraverso il tempo, fino al punto più lontano dell’universo, fino alla vera essenza della vita.
Egli si sentì, per la prima volta, felice.
Al di là delle convenienze, al di là delle piccole gioie quotidiane.
Il suo pensiero corse allora, per un momento, agli amici barboni che, in una parte della sua esistenza, erano stati suoi inseparabili compagni di viaggio. Per essi Otto non poté fare a meno di provare un sentimento di affetto, misto ad ansia e tristezza.
In un attimo i suoi colori iniziarono a splendere più fulgidi e rilucenti che mai e obbedienti al suo volere, iniziarono a propagarsi nell’aria, fino a raggiungere la riva di quel fiume, laggiù in quell’angolo sperduto di mondo.
Come per incanto, la luce di quello strano arcobaleno circondò i barboni e li strinse in un vortice di pace, tranquillità e calore. Nessuna bestemmia si udì quella notte sotto le arcate del vecchio ponte, le bottiglie restarono, per una sera, piene e solitarie. Una strana sensazione di pace e di gioia riempì i cuori di quei poveri barboni, dimenticati dal mondo, ma illuminati, per una notte, dai colori e dal calore di quel magico arcobaleno.

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